Nelle ultime settimane in Europa e in Italia siamo tornati a parlare di Green Deal. Nello specifico sono gli aiuti concessi ai singoli stati dall’UE attraverso lo strumento del Recovery Fund ad essere strettamente connessi alla ‘transizione verde’.
Oggi, per entrare nel vivo del discorso, è interessante partire analizzando il campo semantico relativo al termine inglese deal. Con questo termine infatti nella cultura anglosassone possiamo indicare diversi concetti. Un indirizzo, un corso, un accordo, un trattato, ma anche un ‘affare’, una ‘transazione commerciale’. Concetti tra loro molto differenti, legati da un filo rosso. A livello etimologico deal deriva dall’inglese antico dæl – “a part of a whole, a share” (una parte del tutto, una quota). Il significato originario è quindi quello di dividere, separare, per poi partecipare.
Il Green Deal e l’Unione Europea
L’Europa vuole diventare il primo continente che mira a raggiungere la neutralità a livello climatico entro il 2050. Cosa significa? L’obbiettivo è quello delle emissioni zero, cioè della neutralità carbonica, per contrastare il cambiamento climatico e salvaguardare gli ambienti naturali e la biodiversità. Il Green Deal, di cui si sono occupati sia la Commissione che il Parlamento Europeo, è una strategia comune, sulla base della quale gli stati membri sono chiamati a formulare i propri piani di crescita economica.
L’UE ha messo sul piatto 100 miliardi l’anno, per un totale di 1.000 miliardi nei primi dieci anni.
Fin qui tutto bene, i soldi ci sono, così come i nobili propositi da realizzare promuovendo l’uso efficiente delle risorse naturali, incentivando un’economia circolare, organica e pulita. Per farlo bisogna anzitutto ridurre l’inquinamento, ed è proprio in questa direzione che gli strumenti di aiuto dell’UE si muovono: gli investimenti nelle piccole e grandi infrastrutture pubbliche, così come nell’industria, devono portare a questo shift. Una transizione giusta e il più possibile inclusiva. Ma è proprio su questo aspetto che i nodi vengono al pettine.
Green New Deal Italia, il guadagno degli stati frugali e i rischi per il sistema paese
Se la crescita economica è disaccoppiata all’uso delle risorse, non c’è altra strada se non quella di investire in tecnologie rispettose dell’ambiente. Ma non tutti i paesi europei sono pronti a gestire una transizione troppo rapida. L’Italia ad esempio non è pronta a investire tutto, dall’oggi al domani, sulle auto elettriche. Come sostiene Enrico Mariutti in questo articolo su Il Sole 24 Ore:
“investire nella mobilità elettrica significa perdere posti di lavoro. Stime indipendenti parlano addirittura di due terzi dei posti lavoro legati all’automotive. Una vera e propria catastrofe sociale, a maggior ragione per l’Italia, che si è specializzata nella componentistica. Al contrario, la mobilità ibrida e quella a idrogeno potrebbero essere due opzioni vantaggiose sia per l’ambiente che per la società.
Oppure i pannelli fotovoltaici e le turbine eoliche: un’occasione di sviluppo per chi li produce e li esporta, non certo per chi li installa, dato che si tratta delle fonti di energia con le minori ricadute occupazionali. Al contrario del biogas, per esempio, che ha un enorme potenziale economico e sociale.”
La questione è quindi molto più complessa rispetto a quello che i media tradizionali raccontano alla gente. L’Europa non si sta sacrificando per salvare il mondo. Sta semplicemente cercando di impostare la crescita economica dei prossimi anni su nuovi parametri. Parametri settati sulle esigenze di altri stati, quei paesi del nord che, per accesso alle risorse, posizione e morfologia territoriale sono sempre stati molto distanti dall’Italia. Molto poco connessi con l’Italia. Non a caso la Germania, che inizialmente era stata tentata a salire su questo carro, ha capito di aver qualcosa di più del mercato della componentistica automotive da spartire con l’Italia e il sud Europa. Noi siamo tra i principali mercati che assorbono l’export tedesco. Qualsiasi percorso di sviluppo economico ecosostenibile europeo deve necessariamente tener conto anche dei nostri bisogni.