Industrie alimentari: un comparto trainante per l’Italia

Su queste pagine lo ripetiamo spesso: il comparto delle industrie alimentari è estremamente importante per l’economia del Paese. Basti pensare che, secondo la Confederazione Italiana Agricoltori, il fatturato complessivo del comparto copre più del 15% del PIL italiano. Si tratta di un dato sbalorditivo se lo confrontiamo con quello degli altri paesi europei dotati di territori pianeggianti con una superficie ben più estesa di quella dello Stivale.

Industrie alimentari: i settori strategici

Quali sono i settori che, per fatturato, trainano l’industria alimentare? È bene sottolineare che l’Italia è il principale produttore mondiale di formaggi tipici e il primo produttore mondiale di vino, nonché il primo al mondo per esportazione di pasta.

Fanno parte del settore alimentare tutte le aziende che svolgono quelle fondamentali attività di trasformazione e di lavorazione di beni primari provenienti dall’agricoltura, dalla pesca e dalla zootecnia e quelle che producono semilavorati o prodotti finiti destinati al consumo.

In Italia, e soprattutto nell’alimentare, la connessione tra prodotto finito e materia prima è cosa sacra. Tuttavia, non bisogna dare per scontato che le materie prime provengano esclusivamente dal suolo italico. Per oltre il 70% dei casi è proprio così, ma se guardiamo, ad esempio, all’olio, noteremo che in Italia si produce molto olio con olive provenienti da paesi europei ed extra-europei.

CCNL industria alimentare: il contratto standard del comparto cibo

Centinaia di migliaia di addetti che lavorano in questo comparto hanno diritto ad essere tutelati e ciò avviene grazie al ‘contratto industria alimentare’. Il CCNL dell’industria alimentare attualmente in vigore rimarrà valido fino al 2023.

Sono stati ottenuti importanti riconoscimenti rispetto al contratto precedente, che non riguardano solamente un aumento salariale, ma introducono importanti cambiamenti per quanto riguarda i livelli dell’industria alimentare.

L’ultimo CCNL industria alimentare prevede la presenza di 8 livelli di inquadramento dei lavoratori. Il livello che percepisce un salario più basso – corrispondente a 1015,69 € al mese, è il livello 6, che comprende tutti i lavoratori impiegati nel processo produttivo che sono privi di competenze specifiche.

Man mano che si sale di livello, proporzionalmente, il salario aumenta fino ad arrivare al livello 1S. Si tratta di quadri che controllano aree strategiche dell’azienda e che hanno un salario minimo corrispondente a 2336,03 € al mese.

Fare carriera nell’agro-alimentare

La scalata di livello avviene in base alle competenze e alle qualifiche ottenute dal lavoratore che si ritrova impiegato nell’azienda agro-alimentare. Bisogna tenere in conto che l’inquadramento è importante non solo a fini salariali, ma anche per rilevanti questioni di diritti contrattuali. Ad esempio, le tempistiche di preavviso di licenziamento.

Sostenere i lavoratori di questo comparto, così fondamentale e strategico per l’economia italiana, significa anche incentivare la produzione di quegli alimenti che affondano le radici nelle produzioni tipiche del territorio. Specialmente in questo periodo storico in cui le possibilità di espansione maggiori riguardano quei mercati esteri più attenti all’autenticità del prodotto, che richiedono marchi di qualità italiani.

Impatto ambientale dell’industria alimentare: l’urgenza di importanti riflessioni

Le attività che coinvolgono questo settore rappresentano un’importante risorsa per alcuni territori.

La maggior parte delle aziende del settore alimentare si trovano negli importanti poli produttivi di Roma, Milano e Torino. Ma anche in province come Parma, Bologna o in aree del sud come Napoli e provincia, Bari e Salerno.

Dopo aver sottolineato la sua rilevanza economica e commerciale, è importante fare anche alcune riflessioni sull’impatto ambientale dell’industria alimentare.

Spostando il focus in questa direzione è impossibile non rilevare che c’è ancora molto lavoro da fare. Se è vero che l’opinione pubblica è ricettiva alle campagne di sensibilizzazione di alcune associazioni di categoria, è altrettanto vero che l’industria alimentare è esposta ad una serie di problematiche che sembra non possano trovare risoluzioni tempestive.

In buona sostanza è molto difficile conciliare la domanda alimentare, le richieste dei consumatori che si indirizzano verso determinati prodotti, con l’effettiva sostenibilità delle produzioni.

Nei prossimi anni il lavoro più duro dovrà essere quello dei legislatori che dovranno valutare con grande attenzione gli studi di settore e decidere sul da farsi. Secondo alcuni ricercatori della FAO, l’industria alimentare nel mondo è responsabile del 34% delle emissioni inquinanti. E non è solo la qualità dell’aria a preoccupare, c’è anche lo sfruttamento intensivo del territorio in cui si pratica agricoltura industriale: l’impoverimento e l’aridità del suolo, delle falde acquifere e il calo della biodiversità a livello ambientale ne sono le conseguenze.

Sostenibilità delle industrie alimentari

A fronte di un miglioramento delle condizioni di lavoro, di un aumento dei salari, di un’espansione del commercio estero, la questione della sostenibilità delle industrie alimentari rimane un punto interrogativo.

È necessario che le persone cambino i loro bisogni e scelgano alimenti più sostenibili, oppure è l’industria alimentare stessa che, acquisendo sempre più forza e autorevolezza, deve cominciare ad indirizzare in maniera etica i consumatori?

In questo modo il comparto sarebbe un traino per l’Italia non solo grazie al suo fatturato ma anche grazie alla sua lungimiranza.

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