Reshoring del farmaco: quanto conta riportare le filiere del farmaco in Italia

Esiste qualcosa di positivo in ambito economico derivante dalla pandemia da Covid-19? Forse, potrebbe essere la consapevolezza che non convenga più per molti paesi occidentali affidarsi alle società offshore. Soprattutto per alcune produzioni strategiche, come quelle legate ai dispositivi medici, ai farmaci e ai vaccini.

Settore farmaceutico: a che punto siamo

I primi comparti ad esternalizzare la propria produzione in paesi come Cina ed Europa dell’Est erano stati la moda e l’elettronica. Ma, ultimamente, si assiste anche ad una tendenza inversa, il bisogno di tornare a produrre in Italia. Ed anche l’industria del farmaco ha realizzato la necessità di muoversi in questa direzione.

La spinta decisiva per le case farmaceutiche l’ha data proprio il Coronavirus. Lo abbiamo visto con le mascherine e i DPI. E con la brusca interruzione, da parte di Cina e India, delle esportazioni di antibiotici e medicinali a base di paracetamolo.

Attraverso questi eventi gli europei hanno aperto gli occhi. E, bisogna considerare che il 40% dei farmaci europei, soprattutto generici, proviene dall’Asia. Lo stesso si può dire dei principi attivi in generale. Ecco perché occorre costruire un’efficace strategia per riportare queste produzioni nel vecchio continente, e difendersi contro la dipendenza da questi paesi.

Tutto ciò si chiama reshoring, e prevede il rientro in patria delle aziende originariamente delocalizzate all’estero. Il reshoring si configura come un’idea vincente nello scenario attuale. E, in ultima analisi, un incentivo per superare il grigio cielo della crisi economica.

Cosa è cambiato negli ultimi anni?

Non bisogna andare troppo indietro nel tempo: vent’anni fa l’Europa ha cominciato a fare outsourcing in Cina ed India. Quando ha scoperto che queste nazioni offrivano manodopera a basso costo e regolamenti meno restrittivi a livello produttivo.

Prima del Covid-19, ci sono stati altri fattori che hanno condotto al cambio di rotta verso il reshoring. Un esempio? In un mercato sempre più veloce come quello odierno, diventa impensabile dover dipendere da merci trasportate via mare. Ma bisogna anche pensare alle continue fluttuazioni del costo del petrolio, al naturale processo di aumento dei salari, ai livelli di competenza delle risorse umane che si possono trovare nei paesi di produzione. Conviene davvero come prima “risparmiare” con attività offshore a fronte di queste difficoltà?

Reshoring: la strategia proposta dall’Europa

Per operare attivamente è importante che la Commissione Europea e l’Italia si impegnino a portare avanti un piano, sulla base di quello abbozzato lo scorso novembre a Bruxelles. Un piano per incoraggiare le multinazionali del farmaco, come le medie imprese, a produrre in Europa.

La visione proposta da Ursula Von Der Leyen è quella di un’Unione Europea della salute. Un’unione che faccia propri nuovi obiettivi – per potenziare la sicurezza sanitaria durante le emergenze e favorire una maggiore coordinazione tra stati. In direzione di un rafforzamento interno generale a livello sanitario atto ad intervenire prontamente tramite una gestione completamente europea delle crisi.

Ciò rimanda in modo più o meno velato ad un’idea di indipendenza sia nell’esercizio a pieno regime delle funzioni di ogni nazione in ambito sanitario, ma anche, di riflesso, nell’emanciparsi dalle scorte di farmaci e dispositivi medici che ancora provengono da fuori confine, non a caso è stato pure menzionato un potenziamento del ruolo dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) per affrontare la crisi.

Due punti in particolare riguardano l’EMA: il monitoraggio del rischio di carenze di medicinali e dispositivi medici considerati essenziali e l’organizzazione degli studi per controllare l’efficacia e la sicurezza dei vaccini, ovvero l’occhio del ciclone in era Coronavirus, da produrre e fornire a livello capillare nel minor tempo possibile.

E, infine, il conto

Nonostante le buone intenzioni, purtroppo però non è ancora stato chiarito chi pagherà il prezzo per il reshoring. È probabile che la spesa sarà alla fine ripartita tra contribuenti e sistema sanitario. Secondo uno scettico Enrique Häusermann, Presidente della casa farmaceutica italiana Assogenerici, infatti, è inutile cercare investitori che credano nel progetto se prima non si risolve la crisi economica che imperversa in Italia ed Europa.

Nella migliore delle ipotesi allora sarebbe auspicabile che l’Europa si faccia avanti così: finanziando maggiormente le aziende locali tramite sussidi, riducendo la burocrazia per semplificare il ricollocamento e chiedendo agli ospedali di diversificare i fornitori per assicurarsi una disponibilità costante grazie alla presenza di più soggetti coinvolti.

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